Come si può evincere da alcuni miei interventi passati in questo Blog, sono un sostenitore della condivisione dei saperi, e un osservatore attento (e spesso preoccupato dalla situazione) della proprietà intellettuale applicata alle nuove tecnologie.
La mia idea in proposito è molto semplice, almeno nell’enunciazione: la proprietà intellettuale deve tutelare l’ingegno degli “inventori” (creativi, artisti, musicisti, creatori di software, creatori d’impresa, ecc…), ma non al punto da impedire la circolazione delle idee e delle innovazioni, creando quella che potremmo chiamare “scarsità artefatta”.


Se molti anni fa fosse stato fatto lo stesso uso che si fa oggi dei brevetti, molte innovazioni create negli ultimi anni, nate dalla condivisione dei saperi, non sarebbero mai nate; non sono io a dirlo, ma i ricercatori, gli sviluppatori software, che lavoravano allora e lavorano oggi, e che oggi rivendicano la riproduzione delle licenze open source, nate appunto dal software, anche nella ricerca scientifica.
Il problema, anche se non sembrerebbe, tocca anche noi professionisti di marketing; non siamo forse lavoratori cognitivi? Il nostro lavoro è la produzione di idee, la manipolazione delle conoscenze, le quali non possono che essere condivise con l’ esterno, e spesso lo sono nostro malgrado, inevitabilmente. Il “protezionismo” applicato ai saperi ci lederebbe moltissimo…oltretutto molti non si sono ancora accorti che siamo nella società dell’Informazione.

Il discorso sarebbe (é) molto lungo, mi riprometto di approfondirlo in futuro (sempre se Voi lettori lo desiderate, lasciate commenti in proposito); per chi volesse approfondire autonomanente, potrebbe essere interessante partecipare al dibattito itinerante promosso dalla Free Software Foundation, del quale si parla su Punto Informatico

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