Nello scorso Febbraio, il CPC medio (cost per click) dei PPC search engine U.s.a. è calato di circa il 2%; diciamo subito che non si tratta affatto di un segnale di controtendenza rispetto alla crescita sino ad oggi costante del mercato del keyword advertising.

Il calo è dovuto alla stagionalità (in febbraio calano soprattutto i prezzi del settore turistico e dell’e-commerce). Come è altrettanto comprensibile, novembre e dicembre sono invece i mesi più “caldi”; ma vediamo qualche dato significativo: per le keyword relative ai “customer service” il calo su base mensile è stato ancora più significativo: si è passati da una media di 1,29 $ in Gennaio a una media di 1,04 $ in Febbraio. Per i prodotti b2c si è passati da 52 a 46 centesimi, mentre nel turismo il calo è stato dell’8% (da 88 a 81 cents).


Se confrontiamo questi dati con quelli del mercato italiano, ci possiamo rendere immediatamente conto di quale sia il gap economico e culturale che ci divide dagli U.s.a. In Italia i Bid massimi sono decisamente inferiori di quelli medi statunitensi. Se utilizziamo il tool offerto da Overture Italia per verificare i CPC per singola keyword, possiamo vedere che - con la keyword “viaggi” il top Bid è di 31 centesimi e la maggior parte degli inserzionisti pubblicizza al CPC minimo di 15 centesimi; per la parola-chiave “finanza” il CPC è di 36 centesimi e per essere primi su “celulari” è sufficiente pagare 18 centesimi di Euro. Non sono disponibili dati relativi alla media del CPC italiano, ma possiamo sicuramente affermare che non supera di molto il CPC minimo.

Al contrario, dobbiamo osservare che la media U.s.a. non dà l’idea di quanto sono disposti a pagare la pubblicità gli advertiser. Se guardiamo oltre la media e ci focalizziamo sui top bid (che sono un indice ancora più significativo della media) possiamo vedere che per “mortage” (mutui) il CPC è superiore ai 10 (dieci) dollari; con “betting” si pagano 12 dollari a click e con “laptop” 2,57 $.
Recentemente sono stati pubblicati dei dati anche relativamente alla “internet usage” in tutto il mondo; gli U.s.a. si collocano fra i primi in classifica con circa 14 ore mensili di navigazione (il panel è formato da tutti i cittadini). In questa classifica, l’Italia era segnalata come fanalino di coda con solo 8 ore di navigazione mensili (i dati sono relativi all’utenza domestica).

Per quanto questi dati mostrino come gli Italiani siano distanti dai mercati più evoluti in termini di utilizzo del mezzo, possiamo tranquillamente dire che il vero divario sta nell’e-commerce e nell’info-commerce (che si riverbera poi sul mondo pubblicitario); in Italia l’e-commerce non è mai decollato veramente e sentendo i pareri di tutti i più importanti player – non ci sono prospettive rosee né per il 2005, né per il 2006. Contestualmente, imperversano i programmi in pay per action (PPS, PPL etc). In Italia non solo la pubblicità in Internet non costa nulla (perché pochi comprano in Internet); chi la compra, la vuole pagare solo “se va bene…”.

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