Nielsen Netratings ha appena pubblicato i dati relativi ai nuovi studi sulla cookie deletion.
Come volevasi dimostrare, e a dispetto di quanti avevano gridato all’esagerazione, dopo la pubblicazione dei dati di Jupiter, la cookie deletion è un fenomeno tutt’altro che da sottovalutare.
C’è da dire che il ‘focus’ di Nielsen mi sembra completamente sballato, dal momento che puntava a ‘diminuire’ il traffico effettivo dei siti. Confrontando i dati del server log, Nielsen ha ‘evinto’ che in alcuni casi il traffico dei siti è la metà di quello che sarebbe testimoniato dai cookie e che in altri casi è poco meno.

Ovviamente, i siti a farne più ‘le spese’ sarebbero quelli più frequentati (search engine e portali), mentre ne verrebbero fuori ‘meglio’ siti frequentati sporadicamente (viaggi e assicurazioni).


Dal momento che nel caso dei motori di ricerca il ‘delta’ è di circa il 50% possiamo dire che la % di deletion ‘generale’ è molto vicina a quella ipotizzata da Jupiter qualche mese fa.

Purtroppo, i dati di Nielsen (almeno quelli pubblici) non danno un breakdown delle varie categorie di user, del sesso, dell’età, della propensione a spendere online etc e quindi ci servono poco; a me interessa maggiormente dimostrare come questa ‘moria’ dei cookie sia responabile non tanto di un sovrapprezzo della vendita degli spazi pubblicitari (come vorrebbe far credere Nielsen) quanto piuttosto di una sottovalutazione delle performance di chi pubblicizza programmi in pay per action che, soprattutto per quanto concerne prodotti e non servizi e prodotti di un certo valore economico, si vede ‘non riconosciute’ (o non si vede ‘riconosciute) anche più della metà delle vendite effettivamente effettuate ‘grazie a utenti che sono passati dal proprio sitio’.

Ovviamente, non meno importante è la ‘errata’ delusione di chi compra in CPM o ppc e fa poi il calcolo di costo di acquisizione clienti. Mentre da un lato abbiamo società che hanno sistemi sempre più sofisticati per tracciare il comportamento di un utente, per seguirlo, controllarlo etc (potenzialmente), dall’altro lato abbiamo delle società (i clienti) che non sono in grado di capire quanto stia loro facendo bene la pubblicità online. Non solo, non hanno nemmeno idea di quanto internet sia positivo in termini di infocommerce (nel caso la vendita non avvenga soltanto online); un mio amico che sta investendo molto in internet (rifacimento del sito, indicizzazione etc.) mi ha detto che è estremamente deluso dei risultati del web, nonostante una crescita delle vendite dei prodotti del 96% rispetto all’anno scorso (offline). Di fatto, nell’ultimo anno il sito ha ottenuto 120.000 navigatori trageted in più rispetto a prima, ma ‘nessuno’ è diventato cliente. Gli ho chiesto come faceva a trarre questa conclusione, dal momento che non vende online, non usa cookie, non ha sistemi di tracking, non mette a disposizone coupon elettronici di sconto o condizioni migliorative, non fa indagini sulla propria base clienti etc etc. Mi ha risposto che capisce che internet non funziona perché nessuno gli hai mai detto ‘hey, ho visto il prodotto su internet e vorrei comprarlo..”. Sono rimasto abbastanza schockato da questa ingenuità (visto che parlo di una persona molto intelligente e non di un minus habens). Gli ho semplicemente fatto notare (anche se il paragone è volutamente eccessivo) che se la Nike dovesse giudicare i propri investimenti pubblicitari dal numero di coloro che entrano in un negozio e dicono “hey ho visto la pubblicità alla tele, vorrei lo stesso modello di Zidane!”, probabilmente avrebbero già smesso di comprare spot da tempo.

Ancora una volta, la ‘misurabilità’ del mezzo internet ha portato più danni che benefici per tutta l’industria. Il fatto che io ‘possa’ misurare (dimenticando il fatto che non abbia la minima idea di come farlo) e la richiesta di ‘prove’ che invece non vengono richieste per altri media, fa sì che il web sia ancora la cenerentola del mercato pubblicitario. Certo, non è l’unico motivo, ma fa molto; moltissimo.

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