Ho già scritto in altre due occasioni in merito al tema della tv digitale terrestre, qui, e qui. Con questo terzo intervento in tema di tv vorrei spostarmi momentaneamente dall’argomento della creazione di modelli di televisione partecipativa, per sensibilizzare i lettori sul tema dell’assegnazione delle frequenze televisive.


E’ un argomento che in realtà non riguarda direttamente il marketing o la comunicazione, ma indirettamente riguarda la libertà di trasmettere un segnale Tv, e quindi anche la libertà di comunicare e di sviluppare iniziative imprenditoriali di broadcasting.

Ho giò cercato di fare sensibilizzazione su questo tema, accennando in un precedente intervento all’esperienza olandese, dove lo Stato ha deciso di concedere a chiunque la possibilità di trasmettere i propri documentari ed i programmi televisivi realizzati “in proprio”, creando degli appositi canali di trasmissione via cavo (che in Olanda ha una penetrazione pressoche totale presso le case). Certo, nel nord Europa c’è una cultura piuttosto differente rispetto alla nostra…

Un’altra strada per permettere una maggior libertà di accesso alle trasmissioni tv sarebbe il cambiamento della filosofia e della politica di assegnazione delle frequenze.
Premetto che non farò un discorso puramente tecnico (non ne sarei in grado): attualmente il sistema di assegnazione delle frequenze è centralizzato, gestito dallo Stato, ed è nato quando la tecnologia di trasmissione analogica era l’unica possibile. In parole povere è lo Stato che decide a chi devono essere assegnate le frequenze di trasmissione. Le emittenti che hanno il permesso di trasmettere ricevono una concessione statale.

Da qualche mese, come è ampiamente noto, è stata introdotta in via sperimentale la tecnologia digitale terrestre; questa nuova (per l’Italia) tecnologia permetterebbe di modificare il processo di assegnazione delle frequenze, passando da un sistema centralizzato, gestito dallo Stato, ad un sistema di assegnazione automatica, gestita dalla tecnologia.
Per far capire di cosa si tratta utilizzerò un’analogia, quella con la telefonia cellulare. Le reti di telefonia cellulare hanno un tot. di risorse che vengono assegnate dinamicamente, a seconda del numero di terminali che sono attivi (in trasmissione ed in ricezione) in un dato momento sulla rete; si potrebbe applicare lo stesso principio all’assegnazione delle frequenze televisive, grazie all’avvento del sistema di trasmissione digitale terrestre, passando da un sistema che vede lo Stato concedere le frequenze in esclusiva alle emittenti televisive, ad un sistema di “open spectrum” dove le risorse di trasmissione vengono assegnate dinamicamente alle emittenti che in un dato momento stanno trasmettendo il loro segnale. L’open spectrum in definitiva non è una tecnologia, ma un approccio normativo che anziché assegnare rigidamente le frequenze dello spettro, lascia che l’assegnazione avvenga “on demand”, demandando alla tecnologia la gestione delle priorità.
Peraltro questo sistema di assegnazione dinamica delle frequenze sembra essere più idoneo e più naturale per la tecnologia digitale che non quello attuale, nato nel contesto di una tecnologia, quella analogica, destinata a sparire. Eppure nessuno ha nemmeno lontanamente accennato all’eventualità di introdurre l’open spectrum nello scenario del broadcasting italiano. Come mai?

Posso ipotizzare la risposta a questa domanda: occorre sottolineare che l’attuale sistema di assegnazione delle frequenze da il potere ad un’unica entità di decidere chi può trasmettere e chi no. E’ quindi probabile che questa entità non voglia perdere questo potere di controllo.
E…questo status quo ha chiaramente delle implicazioni negative sia sulla libertà di comunicazione in generale, sia sulla libertà di fare impresa con la televisione, le quali risultano limitate da un processo di assegnazione che è pressoché immutabile nel tempo, come è dimostrato dalla storia delle emittenti tv in Italia; questo sistema infatti ha premiato molti anni fa i primi arrivati, e difficilmente permette a qualcun altro di avere gli stessi privilegi (o meglio, le stesse possibilità) di queste emittenti, le quali peraltro controllano parecchie risorse (frequenze) ridondanti, che in sostanza potrebbero benissimo essere liberate per lasciar spazio a nuove emittenti. E sembra che, putroppo, anche con il digitale terrestre si voglia riprodurre lo status quo dell’analogico, con pochi operatori che controllano i multiplex, assegnati loro in maniera esclusiva e pressoché immutabile nel tempo.
Il modello “open spectrum”, al contrario, renderebbe possibile uno sfruttamento ottimale delle risorse di trasmissione (mentre ora chi controlla i multiplex dispone di molte risorse inutilizzate), consentendo nel contempo sia più libertà di comunicazione, sia più liberta di fare impresa con la televisione.

Il problema è ovviamente anche di tipo politico e culturale; uno Stato X ed i governi che lo guidano sarebbero in grado di tollerare che tutti, o comunque che molti, possano trasmettere liberamente le proprie immagini, le proprie idee ed opinioni, senza poter far nulla per impedirlo in maniera preventiva? E lo stesso discorso è applicabile sia alla radio (DAB), sia al Wi-fi.

L’argomento viene approfondito qui (in inglese), ed in breve qui (in italiano).

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