Altro che coda lunga e discorsi alti sulle opportunità di crescita del digitale nel nostro paese; a meno di un mese dallo IAB Forum di Milano a tenere banco negli ultimi giorni sono polemiche da condominio e risse verbali ai limiti della denuncia.

Non voglio fare qui la cronistoria dei botta e risposta, ma solo provare a contribuire con i miei due cents e raccontare un punto di vista personale sulla campagna Internet for Peace (di cui avevamo già parlato sia qui su IMlog sia in un intervista di qualche tempo fa).

Dire, come il direttore di Wired ha fatto, che questa campagna “cambia tutto” o che “quando lanciammo la campagna … in Italia Internet faceva notizia solo se uno apriva un gruppo per la mafia su Facebook” è stato, credo, un errore.

Non solo perchè è irragionevole, ma perchè è falso; Internet come industry strutturata in italia, con tutti i suoi limiti, esiste ormai da più di dodici anni (IAB italia è stata fondata nel 1998) e non mi pare che la campagna abbia dato una spinta evolutiva all’immagine del nostro settore così forte come Luna lascia sottintendere. Se l’obiettivo non era dare visibilità a Wired (e quindi al suo direttore), perchè non fare una campagna per “promuovere” l’utilizzo di internet (come ha fatto nei mesi scorsi Codice Internet) o, da buon editore impegnato, fare una battaglia giornalistica per rimuovere quelli che sono veri e propri ostacoli alla diffusione del mezzo (come in questi giorni sta facendo L’Espresso).

Wired ha fatto una scelta diversa, legittima; tuttavia determinando il posizionamento di Wired è di fatto una scelta di marketing. Nulla di cui vergognarsi, è semplicemente così (senza contare che stiamo comunque parlando di una campagna iscritta a Cannes…).

La risposta di Riccardo Luna ai commenti ricevuti (qui e qui) è stata forse ancora peggio dell’editoriale di fine campagna; quasi una dichiarazione di lesa maestà condita di polemica e velate accuse di invidia verso gli autori degli articoli incriminati. Un altro brutto errore.

Non penso si tratti di invidia; penso si tratti di ridare il giusto senso e la prospettiva corretta alle cose di cui stiamo parlando.

C’è un sacco di lavoro da fare per far crescere davvero questa industry nel nostro paese e, bisogna dirlo, siamo in notevole ritardo rispetto a mercati come UK o Francia; non c’è bisogno di prime donne, ma di gente che abbia idee e voglia di fare.

Il resto, sono chiacchiere da condominio.

UPDATE: mentre terminavo il post mi è arrivata la segnalazione via messenger di un altro caso (si vede che è stagione). Un post di Layla Pavone, amica e collega per diversi anni, che risponde alla discussione nata dopo un post su Friendfeed nel quale si mettevano in discussione sia i dati che aveva presentato in una slide sia l’utilizzo di un lavoro di Vincenzo Cosenza fatto senza citare la fonte.

Anche qui, mi pare una tempesta in un bicchier d’acqua; da un lato trattasi di banale errore nella composizione di una slide, dall’altro non mi pare sensato accanirsi in un senso (con accuse di furto etc), ma neanche nell’altro (l’espressione “il branco dei blogger” francamente mi ha turbato).

A volte attaccare non è la miglior difesa e bisognerebbe avere il sangue freddo di aspettare e magari rispondere, con trasparenza andando oltre delle scuse formali e dimostrando di voler far parte della conversazione (se civile), con trasparenza.

Basterebbe prendere atto di tutto questo trambusto e pubblicare su slideshare l’intera presentazione con la slide modificata citando la fonte; sarebbe una bella case history :).

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