A quanto pare anche nei lidi d’oltreoceano non mancano delle leggi che, applicate all’ambito delle comunicazioni elettroniche, generano effetti discutibili (anche se, sia chiaro, non applico la filosofia del “mal comune…”).

Leggo su Wired, che in Florida le autorità stanno considerando di tassare l’utilizzo di reti private.
Il titolo dell’articolo parla di reti casalinghe, ma in realtà sembra che l’ambito di applicazione si possa estendere a qualsiasi rete telematica (LAN, WAN, VPN, wireless o wired) che si sostituisce alle comunicazioni tramite provider di telecomunicazioni.

La legge originaria è del 1985, e nasce per tassare quelle aziende che fanno uso di reti interne per comunicare senza utilizzare le compagnie telefoniche locali. Il ragionamento, dal punto di vista delle autorità, è semplice: se le aziende non usano le compagnie telefoniche, io perdo una parte di tasse (il corrispondente dell’IVA italiana), e quindi da qualche parte devo recupare questa perdita.

Nel 2001 l’ambito di applicazione della legge si è esteso ad ogni rete di comunicazione per voce o dati.

Nell’articolo si parla delle difficoltà di applicazione di una legge del genere, soprattutto nello stabilire come calcolare il cosiddetto “imponibile”; basti dire che, in teoria, ogni tipo di rete casalinga o di “small businesses” potrebbe essere tassabile, anche quella per mettere in comunicazione due pc e una stampante.

Quello che mi preme dire è che, nel momento in cui la comunicazione, e quindi la parola, viaggia su byte, tassare le reti significa mettere un’imposta “a sillaba” sull’uso della parola stessa.

Speriamo solo che qualcuno dei legislatori nostrani, che pensano ancora agli Usa come ad una frontiera indiscutibile (mentre sappiamo che, a partire dal Digital Millenium Copyright Act, ma anche con il Total Information Awareness, non è sempre stato così), non pensi di prendere spunto…

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