…dismettiamo”, sembra dire Google. E’ quello che ho pensato quando ho saputo che Google dismetterà i propri servizi Google Print Ads e Google Radio Ads: un primo annuncio del 20 gennaio spiegava che entro il 28 febbraio la piattaforma Google Print Ads (che permetteva l’acquisto via web di spazi pubblicitari su centinaia di testate locali USA) verrà disattivata. E’ invece notizia apparsa il 12 febbraio che anche il servizio di acquisto di pubblicità radiofonica (Google Radio Ads, nata in seguito all’acquizione di dMarc Broadcasting, azienda titolare di una piattaforma di delivery di messaggi pubblicitari radiofonici interamente “digitalizzata”) verrà disattivata entro fine giugno di quest’anno. Per quanto riguarda Print Ads, sembra che il servizio non abbia prodotto i risultati sperati (in termini di investimenti - e quindi guadagni per Google - si legge tra le righe), il che fa pensare che gli investitori non abbiano trovato il modo di calcolare il ROI della pubblicità stampa, cosa invece possibilissima con AdWords e AdSense, dove la misurazione del ROI è una peculiarità; il tentativo di portare gli investitori attenti alle performance a investire anche sulla stampa non sembra avere funzionato.

Stessa motivazione potrebbe valere per la sospensione di Radio Ads; non è così automatico calcolare il ROI di questi investimenti, anche se passano tramite una piattaforma di buying più razionale rispetto al passato (rispetto ai “vecchi metodi” del passaggio tramite la concessionaria di pubblicità). Va detto che questi servizi erano attivi solo negli Stati Uniti, ma una riflessione a livello locale per quanto riguarda chi, come il sottoscritto, lavora in una media agency, è necessaria. Viene meno, con queste dismissioni, la speranza che la cultura digitale in fatto di buying, mutuata da AdWords, contamini anche altri media? O forse il problema (penso io) è che le piattaforme Radio Ads e Audio Ads di Google di fatto non portavano cultura digitale nel buying di mezzi “analogici” ma semplicemente automatizzavano (digitalizzavano) il processo tramite il quale avveniva l’acquisto di spazi, senza offrire una reale misurabilità del ROI (la quale invece è un processo che non riguarda il buying ma la capacità delle aziende di acquisire al proprio interno metodi e competenze per misurare il ritorno dell’investimento in pubblicità in senso più generale).

La dismissione di queste attività è quindi corretta dal punto di vista della redditività per Google, a fronte di investitori che faticano a calcolare il ROI della propria spesa in advertising offline; oltretutto bisogna tenere conto, in queste dismissioni, dello stato della stampa e della radio in generale (critica, soprattutto negli Stati Uniti). Questi avvenimenti, che sembrano negativi,  non mi fanno in realtà smettere di sperare che gli investitori, sempre più spesso, vadano a spostare gli investimenti laddove le metriche di misurazione del ROI sono molteplici e più solide rispetto ad altri mezzi. Continuo a sperare insomma che un giorno le aziende non chiedano più di misurare i GRP di un’investimento in advertising digitale ma anzi comincino ad adottare le metriche consolidate in ambito “digital” anche per misurare - nei limiti del possibile - gli investimenti in media tradizionali (penso ad esempio al calcolo degli “utenti unici esposti” al posto dei GRP, senza scomodare la misurazione delle conversioni online, che per non tutti gli investitori è fattibile e ha senso).

A supporto della mia speranza, il programma Google TV Ads rimane invece attivo, a sostegno del fatto che l’advertising video forse in questi periodi continuerà a reggere (anche se con probabili nuove logiche e più razionali sistemi di buying e misurazione dell’investimento). Inoltre se il video verrà gestito interamente sotto dominio digitale (IPTV e affini), vedo delle prospettive molto interessanti: ci sarà la possibilità di gestire il messaggio pubblicitario secondo una logica che sul web esiste da quando esistono gli adserver, ovvero l’ottimizzazione del messaggio, la rotazione di più messaggi contemporaneamente, nonché (se mai si potrà misurare il tasso di conversione di un TVC, cosa che l’IPTV e la TV via web rendono entrambe possibile) il bilanciamento automatico dell’esposizione di diversi spot con maggiori esposizioni per lo spot che genera il più alto tasso di conversione. Fantascienza, per ora…

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