IMlog - Il blog di chi fa marketing online

Virali per essere virali

Mi ha sempre lasciato perplesso l’utilizzo del termine virale.
Qualcosa e’ virale se si diffonde spontaneamente, come un virus appunto, grazie al fatto di essere divertente, o scioccante, o innovativo.

Da qualche anno a questa parte qualcosa diventa virale perche’ viene pensato fin dall’inizio per essere “viralizzato”.
Il fatto che un’azienda chieda ad un’agenzia di produrre un video virale e’, secondo me, la negazione stessa della viralita’.
E soprattutto di solito fa perdere completamente il contatto con il prodotto, il servizio o qualsiasi altra cosa l’azienda voglia promuovere.

Alla fine quello che succede e’ che si crea qualcosa di divertente (quando va bene) e alla fine ci si appiccica il logo dell’azienda.
Poi lo si posta ovunque forzandone la diffusione, che a questo punto e’ tutto tranne che virale.
Questo video di Budlight ne e’ un ottimo esempio:

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Perche’ odio i social media (non io eh!)

Il titolo di questo articolo di Matt Jones su AdAge e’ volutamente provocatorio, “Why I hate social media”, ma e’ uno dei migliori articoli che abbia letto sui social media.

Io non odio i social media, ma odio l’approccio che il 99% delle aziende e delle agenzia ha nei confornti dei social media.

Non ha senso fare qualcosa sui social media solo perche’ i social media sono gratis e vanno di moda. Se non hai niente da dire dirlo su Facebook o Twitter non fa altro che amplificare l’inutilita’ dell’iniziativa.

E qui di seguito la parte dell’articolo che preferisco:

“What would happen if we acted on the implications of social media, rather than just use it as cheap media? What if we recognized that social media is really only shorthand for the multi-channel, hyper-connected, user-generated, co-created, always-on world we now live in — a world where the good gets what it deserves and so does the bad? What if we stopped getting all hot and heavy over the latest new media success stories du jour, and starting realizing that the real triumph of, say, the Obama campaign was the product and the story, not the channel used for storytelling? What if we took the social media “revolution” as our cue to stop creating tactical campaigns focused on amplifying our same-same stories and start creating better stuff and better stories to tell? What if we got really bold, and focused on creating products and services so inspired that “social” media does all our storytelling for us?”

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Link correlati su Repubblica.it

Mi sfugge il motivo per cui su Repubblica.it nel box “Link correlati” includono l’articolo che stai leggendo…
Forse perche’ normalmente non ce ne sono e non vogliono lasciare il box vuoto?

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Illy punta sull’online

illyMi ha stupito trovare su Internazionale, che e’ l’unica cosa su supporto cartaceo che ancora leggo, bollette e libri a parte, una pubblicita’ di Illy tutta focalizzata sulla promozione del proprio sito istituzionale.

Il testo e l’immagine sono molto anni ‘90 (“Clic. Siete nel sito Illy”), ma e’ comunque positivo vedere come anche aziende un po’ padronali come Illy si siano convinte a utilizzare il web come canale comunciativo e anche commerciale.

Probabilmente la crisi economica in tutto questo: con i riventitori che stentano e le vendite che calano il canale diretto puo’ diventare un nuovo revenue stream.

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McDonald’s: la distanza tra il brand e i consumatori

mcdonalds_300x600_paneLeggendo Repubblica e disperandomi per le assurde vicende sessuopolitiche italiane mi sono imbattuto in questo banner di McDonald’s che pubblicizza la lievitazione naturale del pane della catena di fast-food.

Il banner inoltra linka ad un minisito (www.persapernedipiu.info) dove si possono leggere le mirabolanti qualita’ degli ingredienti utilizzati da McDonald’s.
Per esempio: “I nostri polli vivono in spazi ampi con libero accesso ad acqua e cibo” (probabilmente gli unici al mondo…)
Oppure: “Il Cheddar e’ un formaggio di origine inglese e le sue specifiche di gusto e stagionatura” (ah, la famosa stagionatura del cheddar…)

La cosa che mi sfugge e’ per quale motivo Mc insista nel volersi porre come un fornitore di cibo salutare.
Chi ci va sa benissimo che e’ roba che ti fa ingrassare e venire i brufoli ma ci va lo stesso perche’ evidentemente quel sapore chimico gli piace. Non conosco nessuno che dica “Ah ho voglia di qualcosa di sano, adesso vado da Mc e mi faccio un bel McChicken, che i loro polli hanno ampi spazi e libero accesso al cibo…”.

E’ come elogiare i SUV per le basse emissioni di CO2 o l’economicita’ dei portatili Apple. La gente che compra quei prodotti lo fa per altri motivi e soprattutto a nessun consumatore piace essere trattato come uno stupido.

Certo non dico che dovrebbero usare uno slogan tipo “Vieni a rovinarti il fegato con un gustoso Big Mac”, ma credo che dovrebbero puntare su altre caratteristiche dei propri prodotti. La lievitazione del pane di McDonalds sara’ anche naturale, ma sa di plastica lo stesso…

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Google Squared

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Facebook e’ morto e anche YouTube non si sente tanto bene…

Raramente mi sono trovato in disaccordo su cosi’ tante cose come in questa intervista di Andrew Keen, rilasciata e Econsultancy.

E’ piena di contraddizioni e di predizioni apocalittiche sul presente e sul futuro dei social network e del web 2.0, ma… e’ pur sempre interessante leggere opinioni diverse dalle proprie.

O no? :)

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Apple Vs Microsoft

Questo articolo non rivela nulla di nuovo, nel senso che non c’erano molti dubbi su quale sito fosse piu’  usabile, ma le argomentazioni portate nell’analisi tra i siti corporate di Apple e Microsoft sono comunque interessanti.

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Quando la pubblicità e le audience di massa non bastano…

Un interessante articolo tradotto in lingua italiana su Internazionale.it spiega che i costi di banda richiesti dai milioni di video amatoriali (e spesso vacui, poco rilevanti) caricati su Youtube conducono la piattaforma a una consistente gestione in perdita. Il significato è che Youtube non riesce a ripianare i costi di gestione con gli investimenti pubblicitari (per ora unica voce di introiti contemplata), in quanto gli investitori pubblicitari sarebbero poco interessati ad essere presenti in associazione a video - caricati liberamente dagli utenti - di scarsa qualità. Da qui la partnership di Youtube con diversi distributori di contenuti di qualità, per avere una leva convincente nei confronti degli investitori pubblicitari; tentativo però difficile fino a che la maggior parte dei contenuti che risucchiano banda (e generano costi) sono quelli amatoriali e di bassa qualità.

Su questo articolo (o meglio, sullo scenario che dipinge), ho tre considerazioni:

1) Ciò che è rilevante per un gruppo di amici, non lo è per la massa:
Youtube è, già detto e risaputo, molto ricco di video poco qualitativi in senso generale, ma probabilmente rilevanti per un ristretto gruppo di persone o anche per singoli. Per chiarire con un esempio estremo: in generale direi “chi se ne frega di vedere il resoconto di un giovane un po’ dislessico a proposito di una serata qualsiasi in un locale qualsiasi”; ma se io ero a quella serata, la cosa potrebbe interessarmi in senso relativo. Il vero problema è che questi contenuti non cambiano la giornata di nessuno, quindi interessano per 10 minuti al massimo; difficile costruirvi sopra un qualsiasi modello di servizio (prima ancora che di business). Ammesso poi che Youtube riesca a ripianare i conti, che interesse avrebbe nel finanziare la possibilità per le persone di postare - nella maggior parte dei casi -  video per nulla interessanti per milioni di persone e rilevanti - ma solo per qualche minuto - per un gruppo ristretto di persone? Dovrebbe averne un grosso guadagno oppure secondo me non ne avrebbe alcun interesse.

2) L’investitore pubblicitario è davvero così attento ai contenuti di Youtube e in generale dei media sui quali fa pubblicità? Secondo me, non lo è, altrimenti avremmo già visto mettere in discussione gli investimenti su molti altri mezzi. L’investitore pubblicitario classico si interessa alle audience (e per questo gli investimenti in TV continuano ad andare per la maggiore). L’investitore pubblicitario evoluto si dovrebbe interessare anche al contesto, ma non per snobbare i mezzi dove il contenuto fornito dall’editore (o dalle persone, nel caso di Youtube) è scarso o poco rilevante, bensi per produrre a sua volta un contenuto pubblicitario che sia rilevante rispetto al contesto e alle persone che lo popolano (senza indulgere su cosa i navigatori fanno online, o che tipo di video postano, ecc…).

3) Youtube non ha le credenziali per diventare un sito pay-per-view. Anche qualora si dotasse di una library di contenuti appetibili, il sito è comunque nato come piattaforma di sharing & community, non come veicolo per una visione di contenuti di qualità, ma su questa sua caratteristica - che è il suo DNA fa fatica a costruire secondo me un modello duraturo di servizio (come detto al punto 1). Nonostante tutto ciò, il tentativo da parte di Youtube di diventare piattaforma di visione “televisiva” è in corso, come dimostra Youtube for Television.

Secondo me Youtube e molti altri social network sono aggregatori assai deboli in termini di profondità e di legame tra utenti, per cui non possono stare insieme e non potranno quindi creare  le condizioni per trovare un giorno una fonte duratura di introiti.

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But It’s Not Google

bingsuckQuando la notizia e’ che un nuovo tool “non fa schifo”, c’e’ evidentemente qualcosa che non va…

Il punto e’ che tutti vogliono disperatamente che arrivi qualcosa o qualcuno che possa fare concorrenza a Google e quindi la prima cosa che, appunto, non fa schifo, viene considerata la next big thing.
Michael Arrington, su TechCrunch, parla di Bing in maniera positiva, ma e’ evidente che lo stupore di avere a che fare con qualcosa di decente e che viene da Microsoft e’ la parte principale dell’ottimismo.

Poi ovviamente M$ tiene fede a se stessa, obbligando gli utilizzatori di IE6 ad usare Bing come motore di ricerca predefinito (ancora su TechCrunch) oppure pubblicando annunci ingannevoli come questo:

Bing ™ Official Site
Visit The Bing Official Site To Make Key Decisions Quick & Easy.
www.Bing.com

Il punto e’ che Bing non e’ un motore di ricerca e non e’ nemmeno quello che Microsoft pateticamente definisce come un “decisions engine”, ma e’ semplicemente un tentativo di far fruttare Ciao.com e di mettere assieme un motore di ricerca con un sito di comparazione.
Francamente mi manca la novita’…

Google ha avuto successo grazie alla semplicita’, all’usabilita’ ed alla qualita’ dei risultati.
Che tutti gli investimenti di Google negli ultimi anni siano stati finalizzati ad introdurre tools e filtri piu’ che migliorare la qualita’ dei risultati e’ vero, ed e’ vero che servirebbe maggiore concorrenza, ma non venitemi a dire che Bing e’ la soluzione!

E cmq Bing e’ e restera’ il cognome di Chandler :)

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