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La misurazione del web 2.0
Autore: Enrico.Bianchessi | Categoria: 2.0 | Data: Venerdì, 16 Marzo 2007 

interactivity.pngDevo dire che mi lascia un po' perplesso il fatto che già illustri analisti si siano buttati a pesce per misurare la penetrazione del web 2.0 nelle aziende. Tuttavia mi sembra interessante l'analisi proposta da AMI-Partners, che, senza preoccuparsi troppo delle questioni relative alle definizioni (come si stabilisce che una applicazione è web 2.0 ?) si lancia in interessanti quantificazioni.

Secondo quanto riportato in uno studio, il 40% delle piccole e medie aziende americane utilizza applicazioni web 2.0 , dai blog, a Skype, ad Amazon, per tagliare costi, migliorare l'efficienza e raggiungere più efficacemente i propri clienti. E' interessante il fatto che, come sottolinea Jackie Chan, director of Global SMB Primary Research di AMI-Partners a New York, l'adozione di queste soluzioni da parte delle aziende avviene in realtà con un grado di consapevolezza ancora piuttosto basso riguardo il significato complessivo di "web 2.0".

Sostanzialmente AMI Partners vede il web 2.0 come la seconda generazione di servizi internet-based, caratterizzati dal passaggio da siti statici a piattaforme per lo sviluppo di applicazioni.

Tra i motivi trainanti che portano le PMI statunitensi verso l'adozione di questo tipo di applicazioni vengono individuate:

- Avere accesso tramite web ad applicazioni e tecnologie che diversamente sarebbero troppo costose;

- Far conoscere, vendere e supportare i propri prodotti presso i clienti in modo economico ma efficiente;

- Aprire nuovi canali di comunicazione abbassando i costi.

- Partecipare a comunità online e portali.

Vedremo cosa accade in Europa.

Per approfondire: Tekrati

Commenti

@Andrea: verissimo, ci sono applicazioni e soprattutto "modalità" di presenza su internet che esitono e si sono sviluppate da anni, e che oggi vengono "ribattezzate" come 2.0. E il fattore "moda" non è da sottovalutare. Il blog viene spesso percepito da aziende (ma anche da poltici per esempio) come uno strumento "trendy & glamour" che darebbe a chi lo utilizza una sorta di "patente 2.0" , di certificato che attesterebbe quanto si è "avanti", innovativi, moderni, attenti ai social media,etc etc. E occorre dire che alcune agenzie di pubblcità e PR hanno prontamente sfruttato questo "hype" pacchettizzando il blog per le aziende un tanto al chilo. Nella mia cerchiamo di essere più attenti, ma forse è un errore di marketing...

@Claudio: chiaro che le PMI americane sono un'altra cosa, ma lo studio di AMI mi è sembrato comunque uno spunto interessante.

Inviato da: Enrico Bianchessi @ 20.03.07 09:40

..scusate errori e strafalcioni di velocità..

Inviato da: andrea @ 19.03.07 18:35

Sto guardando divertito come oggi con 2.0 si identifichino elementi sempre esistiti del web. A meno che ognuno si da una sua definizione di 2.0, come oggi accade (ingenuamente). Ma come disse qualcuno, l'importante è che se ne parli.

Ricordo Imli delle origini (e l'attuale Mlist): mailinglist che nulla a da invidiare a molte strumenti di relazione 2.0.

Questione di moda?

Inviato da: Andrea @ 19.03.07 18:33

Alcune importanti società di ricerche di mercato, affermate a livello internazionale, hanno pubblicato alcuni report e presentato le loro previsioni di scenario in merito alle nuove tecnologie dell'information technology.

Sembrerebbe prossimo il ridimensionamento del web 2.0, e forse si tratta di un "ritorno alla normalità".

Ultimamente tutte le varie affermazioni di un nuovo modo per le aziende di guardare al futuro, grazie alle applicazioni web 2.0, sono sembrate la replica della bolla economica di internet.

Sicuramente le imprese nazionali debbono recuperare in competività: l'innovazione tecnologica può aiutare alcune imprese, altre possono aver bisogno anche di interventi di innovazione a livello organizzativo, se non strategico.

Lasciar passare il messaggio che il web 2.0 possa essere una leva di innovazione, quasi celebrando applicazioni come il corporate blogging, può apparire una visione più semplicistica che concreta.

Non si possono comparare le società USA con quelle italiane: non sempre l'innovazione può avvenire importando e replicando "best practices".

Inviato da: Claudio Iacovelli @ 16.03.07 22:25

tutto in due parole: non convenzionale

Inviato da: Dr_Who @ 16.03.07 14:44

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